NARODNI DOM – RESTITUZIONE

CONVIVENZA MILLENARIA LATINO-SLAVA

A partire dal 610 e dopo le invasioni del settimo secolo le tribù slave provenienti dall’interno della Russa europea si spinsero fino al mare adriatico.

Quando la Venezia-Giulia e l’Istria divennero, nell’ottavo secolo, contee franche il “Placito di Risano” trattato storico tra l’etnia latina e quella slava, con l’arbitrato carolingio, normalizzò i rapporti.

La convivenza rese lo “slavo” stanziale, agricoltore e, successivamente, anche pescatore.

Fra i quindicesimo secolo e gli inizi del diciassettesimo un flusso imponente e continuo di popolazioni provenienti dalle zone del Levante, invase dai turchi, cambiò la “facies” demografica e sociale istriana.

In realtà, questi nuovi elementi si connettono a quelli esistenti in un certo senso rafforzando e consolidando la presenza slava.

Nonostante la disparità demografica a favore degli slavi, l’etnia istro-veneta conserverà per tutto il periodo del dominio veneziano e fino all’annessione all’Austria, la sua egemonia.

L’estinzione del dominio veneziano sconvolse il quadro economico e sociale istriano e colpì duramente la classe imprenditoriale istro-veneta.

Il primo risultato fu quello di concludere il fenomeno di assimilazione culturale spontanea del mondo slavo da parte della cultura latina.

 

RISORGIMENTO SLAVO

Tra il 1500 e il 1700 era risultata evidente la stretta parentela etnica e linguistica degli slavi.

“Il romanticismo dei primi decenni dell’ottocento, con la scoperta  dei valori etnici e linguistici, diede allo slavismo nuovo slancio”. (Italiano con la coda)

Andava recuperato quel “Lebensraum” slavo che, nell’ottavo secolo, Carlo Magno, campione del pangermanesimo, aveva ridotto.

Il movimento si affermò a Mosca, Praga, Varsavia, Lubiana e a Zagabria.

Gli ideologi  del panslavismo puntarono su una collaborazione slava totale in grado di imporre, da una posizione di forza, la parità economica culturale con il mondo germanico-latino.

Una parte di intellettuali italofoni triestini come Slataper, ritenevano che fosse loro impegno quello di diffondere verso il mondo slavo e germanico una cultura italiana rinnovata, alla pari con la  produzione europea.

Una mediazione culturale fu svolta da Giani Stuparich con suo studio “La nazione Ceca”.

 “L’establishment” istro-veneto e triestino, invece, temettero di essere  assimilati culturalmente dagli slavi del territorio, sospinti dalla marea pan-slavista.

 

SCIOVINISMO LIBERALE

Dopo il 1860 “Un clima di intolleranza e di razzismo da parte degli irredentisti fu anticipato ed espresso nei confronti, prima dell’Austria, e, successivamente del mondo slavo dallo scrittore rovignese Bernardo Benussi e da Luigi Barzini, prestigioso giornalista del Corriere della Sera. (Nazionalismi ed esodi istriani)

 

BERNARDO BENUSSI

 

Bernardo Benussi elaborò ed affermò la superiorità genetica e culturale italiana nei confronti di quella slava.

Ritenne che fosse inammissibile che il peso demografico e culturale slavo pesasse quanto la cultura e il censo, italiani, minoritari.

Da perfetto sciovinista non soltanto si scagliò contro l’istituzione del liceo croato a Pisino, capitale dell’Istria slava, ma si fece promotore di una crociata per la sua eliminazione.

Nel 1897, quando all’apertura della Dieta (parlamento istriano) il deputato Matko Laginja esordirà in croato per rivendicare la parità linguistica, i deputati istro-veneti grideranno allo scandalo.

Benussi fu il risultato di una cultura provinciale ristretta e incapace di dialogare con le altre.

La sua influenza ideologica sulle nuove generazioni italofone fu profonda e deleteria.

Lo scrittore terrorizzato dall’affermazione del panslavismo stabilì, nella seconda parte dell’ottocento, che il nemico non era il governo austro-ungarico impegnato a controllare l’estremismo irredentista italiano, ma la religiosità slava, potente collante etnico.

“La chiesa e la scuola divennero fucine di propaganda panslavista e anti-italiana”.

 

RINASCIMENTO CROATO

Le componenti: croata e slovena presenti nel Nord-Est e in Istria e in Dalmazia divennero l’incubo della nomenklatura istro-veneta. Esse dovettero passare, nell’affermazione della loro identità nazionale, attraverso un intensa attività culturale.

In Istria e a Trieste l’arcivescovo di Parenzo e, poi, di Trieste, Juraj Dobrila deputato al Reichstaat creò scuole primarie e ginnasi sotto l’egida della Lega Santa e la Società dei Santissimi Cirillo e Metodio.

 

RISORGIMENTO SLOVENO

Il riformismo settecentesco di Maria Teresa e Giuseppe II e lo sviluppo economico di Trieste che ne seguì coinvolse la comunità slovena.

Quando nel 1803 Napoleone rese Lubiana capitale delle  province illiriche stimolò “l’élite slovena a progetti sempre più ambiziosi di carattere risorgimentale” ( Jure Pirjevec).

Gli intellettuali sloveni si convinsero che le due nazionalità italiana e germanica, con cui si trovavano a convivere, fino allora avevano negato la loro individualità politica.

La risposta slovena fu quella di costituire una miriade di società culturali, ginniche, corali o filo drammatiche, tutte animate da intensa passione nazionale e concentrate nei “Narodni dom”.

Venne debellato l’analfabetismo una diffusione capillare del libro e della stampa periodica.

Fu riconosciuta pari dignità dello “sloveno” come lingua ufficiale, accanto al tedesco nella zona della Carniola e, a Trieste e nel Litorale, accanto all’italiano.

La giovani borghesia slovena imprenditoriale e impiegatizia organizzò grandi parate all’aperto e, dimostrando un iniziativa imprenditoriale imprevedibile fondò fiorenti casse di risparmio, non più dipendenti dal capitale tedesco.

“La piccola borghesia di cultura italiana fino allora egemone, impaurita, reagì invocando il separatismo dall’Austria che, a suo parere, aveva provocato l’ascesa della comunità slovena”.(Requiem per il popolo istriano)

 

MANIFESTO IRREDENTISTA

La perdita di prestigio di fronte alla rinascita slava spinse la minoranza italofona a Trieste e in Istria a rivolgersi all’Italia risorgimentale in preda a mire espansioniste.

Come sostiene Sergio Romano in “Storia d’Italia” essa era “bellicosa e potenzialmente nazionalista, con tutte le caratteristiche di aggressività e in cultura politica”.

Durante la terza guerra di indipendenza e dopo le sconfitte di Custoza e Lissa i notabili irredentisti invieranno al re d’Italia, al governo e ai vertici militari la richiesta di invasione delle terre “irredente” abitate anche da “slavi dell’Istria e di Trieste che avrebbero preferito l’annessione al Regno d’Italia alla sovranità asburgica”.

Una valutazione completamente propagandistica.

 

BARZINI

Se Benussi nella sua analisi antropologica identificherà nel clero, cultura e banche slavi i nemici  dell’italianità giuliana, sarà Luigi Barzini, giornalista del Corriere della Sera, uno dei più autorevoli “opinion leader”, all’inizio del novecento, alla vigilia del primo conflitto mondiale, ad elaborare l’agenda del governo italiano, prima liberale e, poi fascista, in chiave antislava.    

Nel 1913, alla vigilia della prima guerra mondiale, Barzini fu inviato dal Corriere della Sera a Triestea redigere un inchiesta “Sulle condizioni degli austro-italiani e dei regnicoli (sudditi del regno d’Italia) nel territorio giuliano”.

Il pamphlet barziniano composto da quindici articoli accusa il governo austriaco di annullare “l’italianità di Trieste e dell’Istria con la complicità degli slavi”.

Accuserà l’Austria di essere responsabile del “genocidio culturale italofono  istro dalmata realizzato dagli slavi”.

L’etnia slava andava “schiantata” nel suo percorso culturale per bloccarne l’evoluzione.

Le “Narodni dom” luoghi di aggregazione culturale diventarono la sua ossessione perché sintesi della cultura slava e del panslavismo.

Il giornalista precursore del fascismo considerera  il socialismo italofono deciso alla convivenza complice degli slavi ed andrà, quindi, bandito.

Nonostante una “cultura di seconda mano” che puntava esclusivamente su slogan giornalistici lo sciovinismo di Barzini è tuttora fortemente apprezzato.

 

ASSIMILAZIONE FORZATA

L’Italia risorgimentale, prima ancora dell’avvento del fascismo, porrà le basi per l’annullamento  dell’identità culturale slava.

La relazione conclusiva della commissione storica mista italo-slovena relativa ai rapporti storici dal 1866 al 1954 dimostrerà come l’assimilazione coatta della minoranza slovena nella “Slavia veneta”  fosse stata programmata dai governi italiani risorgimentali.

 

SOPPRESSIONE DELLA CULTURA SLAVA

“Il Narodni dom” era forse il simbolo più odiato della presenza slava dai nazionalisti italiani perché “Testimoniava come gli slavi avessero ormai abbandonato le vesti dei contadini rozzi e incolti per affermarsi come borghesia ricca, istruita e multinazionale”. (Pupo)

Ruggero Timeus, triestino, aveva posto il problema senza mezzi termini: lo slavo  è il nemico da odiare, in nome dell’interesse nazionale.

Benussi, Barzini e Timeus furono i mandanti morali degli incendi dei Narodni dom.

Il fascismo italiano prima ancora di assumere il potere nel 1922, a poche ore dalla fine della prima guerra mondiale, espresse tutta la sua intrinseca violenza contro la città di Pisino, in Istria.

“La città era in festa e addobbata, improvvisamente il 4 novembre 1918, entrarono i bersaglieri italiani. Cominciarono a imperversare i fascisti: distrussero la tipografia, chiusero le scuole e il Ginnasio croato, demolirono la Casa del popolo. Attaccarono la sede della Federazione socialista di Pisino di cui erano membri numerosi croati e italiani .

Sui muri delle case dei più noti antifascisti cominciarono ad apparire sempre più spesso le lugubri croci nere. “Oggi la croce, domani la morte “. Era lo slogan preferito dei fascisti.

Cominciarono gli arresti e le torture, l’olio di ricino e le manganellate. Quindi seguì l’abbandono dei vecchi focolai domestici e un fiume di emigranti istriani si riversò al di là del confine con la Jugoslavia”.(Drndic)

Nel 1920, nonostante che il pericolo slavo fosse rientrato, l’odio nei confronti dell’etnia slava e della sua cultura, il nazionalismo italiano si espresse con tutta la sua ferocia nei confronti dei centri di cultura e di aggregazione, slavi.

I “Narodni dom” contaminavano l’immagine italiana di Pola e Trieste.

Andavano, quindi, cancellati.

Libero Sauro fu tra gli artefici di un piano organico teso a destrutturare i privare le popolazioni slave di punti di riferimento: religiosi, maestri, ed intellettuali, in modo tale da procedere ad una loro rapida assimilazione politico culturale.

Gli incendi dei Narodni dom a Trieste e a Pola vanno inquadrati in questa logica.

 

TRIESTE

Il 13 luglio il “Narodni dom” e l’hotel Balkan nel centro della città furono dati alle fiamme dai fascisti e dalla polizia che avrebbe dovuto difendere il complesso. Non solo.

Ci furono altre devastazioni di proprietà slave.

(Cattaruzza) “Nei mesi successivi le azioni intimidatorie proseguirono. Una violenza esercitata persino nelle chiese . Per sei mesi proseguirono le violenze . “Numerose devastazioni di giornali socialisti e sloveni e di sedi del movimento operaio. Nel corso delle violenze fasciste vennero incendiati nella Venezia-Giulia 134 edifici, tra cui 100 circoli di cultura, due case del popolo, 21 camere del lavoro e 3 cooperative.

La forza d’urto era tale che, in alcuni casi, gli edifici venivano distrutti dalle fondamenta”.

 

POLA

A partire dal novembre 1918 l’amministrazione italiana iniziò a Pola lo smantellamento totale dell’arsenale che con i suoi ca. 5000 addetti rappresentava la più importante risorsa economica della città. 

Il 1° maggio 1920,  durante una manifestazione pacifica la polizia italiana sparò: quattro morti e cinquanta feriti gravi.

In questo clima di terrore una squadra di fascisti il 14 luglio incendiò a Pola il Narodni dom.

A partire dal pianterreno furono distrutte le altre infrastrutture: Cassa di Risparmio e Società di Lettura .

Furono inceneriti sette mila volumi, una raccolta unica e preziosa dell’eredità culturale  croata.

 

FALSITA’ STORICHE

I circoli revanscisti continuano a considerare gli incendi dei Narodni dom di Trieste e  Pola come una legittima reazione ad un “eccidio” di italiani perpetrato l’11 luglio 1920, a Spalato, dai nazionalisti croati.

Questa affermazione, priva di qualsiasi supporto storico, è totalmente falsa.

 

SPALATO  CAPITALE DALMATA

La città di Spalato non era stata inclusa nei compensi coloniali dovuti all’Italia e previsti nei “Patti di Londra” per la sua entrata in guerra accanto alle potenze dell’Intesa,.

Città cosmopolita  diventò dopo la “spedizione di Fiume”, un obiettivo da acquisire in attesa di una conquista totale italiana della Dalmazia.  

Nella seconda metà dell’ottocento, la città aveva scelto come sindaco Bajamonti, esponente della minoranza italofona. “Bajamonti puntava non soltanto a conservare i valori culturali della minoranza italofona, ma riconosceva alle masse slave i diritti nazionali negati dagli irredentisti.

Agevolò l’istituzione di scuole slave e l’utilizzo della lingua croata negli uffici pubblici.

La sua politica di sviluppo e di cooperazione rese la comunità spalatina dinamica.

Il sindaco incrementò i collegamenti di Spalato con Pescara e Belgrado rendendo la città un ponte tra il mondo latino e quello slavo, complementari.

Gli irredentisti spalatini indisponibili a condividere l’egemonia con la maggioranza croata porranno fine all’amministrazione bajamontina.

L’ammiraglio Miglio con l’appoggio di Thaon de Revel capo di stato maggiore della marina, agli inizi del luglio 1920 “aveva fatto stazionare l’incrociatore Puglia nel porto di Spalato ritenendo in questo modo di rafforzare la posizione negoziale dell’Italia, a Parigi.

La presenza del Puglia venne registrata con notevole nervosismo dalla maggioranza croata di Spalato e venne a determinarsi una situazione di tensione tra l’equipaggio italiano e la componente nazionalista croata della popolazione.

La tensione crebbe in seguito al manifesto appoggio di Millo e degli alti comandi della marina all’impresa fiumana, sfociata nell’illegale occupazione di Trau (Trogir, alla periferia di Spalato) sotto controllo delle truppe americane”.  (Cattaruzza)

A conclusione degli incidenti culminati in una sparatoria iniziata dall’incrociatore  con morti e feriti sulla riva del porto, il fuoco croato di rappresaglia colpì il capitano Gulli e un membro dell’equipaggio, Rossi.

Sulla vicenda Philip Andrews comandante delle forse navali produrrà una documentazione esaustiva.

Il Secolo nel rievocare l’uccisione dei due italiani parla di “eccidio”. Nella sua subcultura ignora la “Treccani” dove l’”eccidio” viene definito “uccisione di massa, strage e scempio”.

Inoltre definisce l’incrociatore un mezzo marittimo inerme e umanitario perché “nave ospedale e di ricovero”. In realtà il “Puglia” era un unità di combattimento utilizzata fin dalla guerra italo-turca del 1911-12 per il cannoneggiamento  di munite strutture nemiche.

L’incidente di Spalato sarebbe stato, in realtà, “la provocazione politica da parte di forze d’intelligence”.

L’ammiraglio Andrews ebbe la netta sensazione che i quadri inferiori operativi italiani fossero completamente privi d’istruzioni.

Il governo italiano aveva perduto ogni controllo sulla situazione dalmata

L’operazione di Spalato viene esaltata dal “Secolo” quando riporta che “La prua della nave Puglia fu poi voluta da d’Annunzio al Vittoriale per ricordare l’italianità dalmata assassinata “.

Vale a dire un impresa coloniale totalmente fallita perché realizzata da un nazionalismo “cialtrone”.  

 

OCCUPAZIONE DI SPALATO

Il 25 aprile 1941 la cittadinanza croata di Spalato e le famiglie italofone, con cittadinanza italiana, vissero l’occupazione italiana come un incubo: “per tutto ciò che commettevano non tanto i militari, ma i fascisti, i carabinieri e i questurini”. (Bettiza) 

Per gli istriani che erano stati sottoposti alle persecuzioni del fascismo italiano e che avevano trovato rifugio a Spalato quando la città fu occupata “le autorità di occupazione presero ad applicare a Spalato e in Dalmazia le esperienze della politica del terrore e della snazionalizzazione che per oltre due decenni avevano condotto in Istria”.

 

NARODNI DOM E NEOFASCISMO

Il 2 aprile 2019 l’Istituto nazionale Ferruccio Parri ha inviato una nota di protesta sottoscritta da decine di istituti storici e centinaia di ricercatori contro la mozione del 26 marzo 2019 approvata dal Consiglio regionale del Friuli-Venezia-Giulia con la quale viene limitata la libertà di opinione e di ricerca sui temi concernenti le foibe e l’esodo.

Il 26 maggio 2020  la giunta comunale di Trieste, su proposta del sindaco Dipiazza, ha approvato la delibera che celebra come “giornata cittadina” il 12 giugno 1945 data del ritiro  del IX Korpus dell’esercito jugoslavo che il 5 maggio 1945 aveva occupato la città.

La celebrazione è stata utilizzata dai circoli revanscisti italiani per ribadire lo sciovinismo nei confronti del mondo slavo manifestato durante la “Giornata del Ricordo” del 10 febbraio.

Il neofascismo con l’occasione ha arricchito il suo “Pantheon” di eroi nazionali criminali come il senatore Riccardo Gigante, legionario, sindaco di Fiume e, dal 1943, governatore della regione fiumana, designato dalle autorità naziste, autore di deportazioni ed eccidi di massa, processato e giustiziato alla metà del maggio 1945, dai partigiani.

Come riportato da Fabrizio Federici “opinion leader” neofascista il governo italiano, tramite le sue rappresentanze diplomatiche, ha agevolato il recupero dei resti nei pressi di Fiume, Castua.

“Sono stai poi solennemente tumulate a febbraio scorso al Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera”.

Nel loro delirio revanscista  gli estremisti neofascisti hanno provveduto ad intimidire la minoranza slovena a Trieste.

A San Dorligo della Valle, la notte tra il 12 e il 13 giugno a caratteri cubitali, sono apparse scritte come “ Nè pace, nè perdono per terroristi e criminali titini-Casa Pound Italia”.

Il tutto, è stato ignorato dalle istituzioni che, per dettato della costituzione, dovrebbero combattere il vecchio e il nuovo fascismo.

Il ministro Boccia cosi solerte nel reprimere le fughe in avanti delle amministrazioni locali in ordine ai “protocolli di contenimento” del virus e il ministro degli interni Lamorgese hanno ignorato la gravità che comportano, per l’ordine pubblico, queste celebrazioni ufficiali neofasciste.

La stampa revanscista impunemente esprime il suo sciovinismo : “Trieste continua a prendere schiaffi dagli sloveni con la complicità dello Stato”.

La finalità di tutto questo è quella di oscurare l’imminente centenario dell’incendio del Narodni dom di Trieste, il 13 luglio 2020.

Del resto il governo e la presidenza della Repubblica Italiana hanno provveduto in anticipo a svuotare il ricordo della politica snazionalizatrice italiana perpetrata fino alla fine della seconda guerra mondiale.

Si è stabilito cosi che il ricordo si limiti a una cerimonia congiunta con il governo sloveno.

Verrà realizzata una restituzione simbolica del Narodni Dom alla comunità slovena, con tanti ringraziamenti, dovuti alla magnanimità italiana, da parte degli sloveni.

Gli eredi del Risorgimento, a differenza dei tedeschi non sono ancora pronti ad ammettere le responsabilità criminali fasciste nei confronti di coloro che le hanno subite.

Sarebbe anti-patriottico.        

 

Vittoriale: prua nave Puglia
Trieste: incendio Narodni Dom
San Dorligo della Valle: striscione 12 giugno 2020

Category: Esodo, Irredentismo, Istria, istrianità, Neofascismo, Trieste

- 26 Giugno 2020