A.N.P.I. – P.C.I. e Questione Giuliana

Gli storici italiani di destra e i moderati hanno accusato il P.C.I. e l’A.N.P.I. di essere i responsabili della cessione dell’Istria alla Jugoslavia, dopo la seconda guerra mondiale.

Sempre questi storici hanno considerato “l’internazionalismo”:  l’eredità più evidente e positiva che l’ideologia marxista abbia consegnato all’Europa odierna che per sopravvivere deve essere unita e federalista,  anti-patriottico .

Le loro ricerche storiche, impostate sulle “foibe”, sono state determinate da un “delirio anti-slavo” .

PRIMORDI ANTI-FASCISTI

Gli esuli slavi espulsi dal territorio giuliano, negli anni 20 , si rifugiarono in Jugoslavia.

A partire dal 1928, costruirono un movimento armato clandestino denominato T.I.G.R.: Trst Trieste), Istra (Istria), Gorica (Gorizia), Rijeka (Fiume) e gli associati furono denominati “tigoristi”.

La lotta armata di questo gruppo terrorista, privo di una base popolare, in sintonia con l’analogo gruppo italiano “Giustizia e Libertà”, fu sterile.

Il partito comunista italiano, resosi conto della matrice “irredentista”  dei “tigoristi” sloveni e croati, aveva declinato l’invito a collaborare.

“Soltanto quando nella loro azione si saranno liberati del nazionalismo potremo vedere se c’è da marciare e a quali condizioni, nella Venezia – Giulia, per un certo tratto. Su una piattaforma precisa (Ruggero Greco), dirigente del partito comunista italiano in “Stato Operaio” – 1930” .

Il secondo conflitto mondiale e l’invasione della Jugoslavia da parte dell’esercito italiano provocheranno l’emergere di un movimento comunista jugoslavo capace di sviluppare una strategia rivoluzionaria.

INTERNAZIONISMO PROLETARIO

All’interno dell’Istria la repressione fascista sarà la causa diretta per la nascita di un partito comunista istriano vitale e omogeneo nelle sue due componenti: istro-veneta e istro-slava.

La rivolta del 10 febbraio 1918, alle “Bocche di Cattaro” e quella della “Viribus Unitis” del 31 ottobre 1918 costituiranno l’anticipo delle lotte future.

Il primo maggio 1920 il proletariato istriano ebbe il suo “primo maggio” tragico con un’eccidio inter-etnico e operaio di italiani, croati, cechi e tedeschi.

Il massacro si era perpetrato in una Pola definita dall’amministrazione italiana “comunista”.

Seguirà una radicale “pulizia etnica”  e una massiccia immissione in città di “regnicoli” italiani.

Il regime soffocherà Pola popolandola di caserme, di squadre di azione fasciste provenienti dalla penisola e collocate non soltanto in città ma, anche nell’immediato circondario: Pomer, Medolino, Sissano, Galesano, Brioni e Fasana.

Analoghi eccidi saranno commessi a Dignano, nella campagna istriana, contro anti-fascisti istro-veneti.       

LA REPUBBLICA SOVIETICA DI ALBONA

La Repubblica Sovietica di Albona costituì il primo esempio di unità proletaria, durante il ventennio. 

“Nel 1921 la classe operaia istriana, nazionalmente eterogenea riuscì ad abbattere ad Albona il potere capitalista e nel motto “la miniera è nostra” s’impossesso dei pozzi creando i consigli dei minatori, le guardie rosse e ciò che più importante, organizzò la propria produzione autogestita.

Dopo 36 giorni e soltanto, con l’intervento dell’esercito italiano, fu piegata”.

Numerosi rivoltosi si recarono in Spagna e parteciparono alla difesa di Madrid.

Non furono i soli.

Si calcola che diverse centinaia di istriani, a cementare una tendenza unitaria che andava al di là delle differenze etniche, combattè in Spagna.

Rovigno, capitale istro-veneta, ancora nel 1926 contava 684 iscritti nella sezione giovanile comunista.

Negli anni successivi i rovignesi che sfuggiranno alle torture e all’eliminazione fisica e al confino a Lipari e a Ventotene, si uniranno agli istriani combattenti in Spagna.

Sarà questo nucleo unitario ad essere la base per una collaborazione resistenziale, a partire dall’8 settembre 1943.

VINCENZO GIGANTE

La diffidenza croata nei confronti degli italiani e la paura degli istro-veneti di subire la naturale rappresaglia costituivano, all’inizio della Resistenza, un ostacolo alla collaborazione antifascista.

Ad avvalorare i timori degli istro-veneti era intervenuta il 20 settembre 1943 la decisione unilaterale assunta da una parte della Resistenza slava ancora legata ai valori “tigoristi”, di proclamare l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia.

La presenza di Vincenzo Gigante, membro del comitato centrale comunista italiano sarà determinante per rovesciare la situazione.

Brindisino, iscritto fin dagli inizi al partito comunista, divenne segretario dei sindacati edili presso la Camera del lavoro a Roma e, nel 1924, entrò nella clandestinità.

Dal 1925 al 1928 completò la sua preparazione politica frequentando, a Mosca, la scuola leninista.

Il congresso, nel 1930, lo designerà membro permanente, nel comitato centrale.

Arrestato dalla polizia italiana nel 1934 si troverà l’8 settembre 1943 rinchiuso nel campo di concentramento  di Anghiari.

Il governo Badoglio, a partire dalla fine di luglio 1943 aveva individuato in Gigante e nei detenuti istriani un pericolo per la loro pericolosità rivoluzionaria e per questo, non gli aveva liberati.

L’8 settembre 1943, dopo l’evasione dal campo di Anghiari, l’impossibilità di dirigersi verso il sud e di contattare le formazioni artigiane e le organizzazioni del P.C.I. in Veneto e a Trieste costrinse Gigante a seguire i compagni istriani diretti verso il Carso istriano, dove una resistenza indomita si opponeva alla tremenda offensiva nazi-fascista.

Brgudac costituiva la “base principale in Ciceria della Resistenza istriana.

Come racconta Drndic “Si viveva una vita intensa, era un continuo via vai. Passavano di là i nuovi combattenti e i veterani, i corrieri, i lavoratori politici, i giovani attivisti. Alcuni portando la stampa, armi, medicinali.

Brgudac e gli altri villaggi del Carso svolgevano le loro funzioni di potere popolare… punto di riferimento per altre sette basi e stazioni militari-politiche istriane collegate fra di loro dai servizi di staffetta funzionanti in continuazione.

A Brgudac arrivavano regolarmente grandi quantitativi di generi alimentari, di vestiario, calzature, medicinali ed armi.

Li mandava il popolo dell’Istria tramite i suoi comitati e le organizzazioni femminili per il suo esercito….

Cosi le regioni più fertili dell’Istria aiutavano il popolo dell’arida Ciceria e quella di Brgudac a superare i complicati problemi che si presentavano con il sempre più massiccio affluire degli istriani nelle file partigiane.

Si univano in tal modo il fronte e le retrovia al punto che la linea di demarcazione fra l’uno e l’altro scompariva “.            

Contro la Ciceria e Brgudac, come spiegheremo più avanti, si scatenerà la più brutale tra le devastazioni nazi-fasciste, operate in Europa.

Gigante raggiunse Brgudac dopo un viaggio tormentato e venne incaricato all’unanimità di dirigere il primo convegno dei comunisti istriani: occasione unica per incontrare i dirigenti comunisti croati istriani e del litorale fiumano.

La sua preparazione politica e il suo carisma lo resero capace di imporre una linea unitaria.

“La lotta strenua contro l’occupatore nazi-fascista non avrebbe tollerato compromessi; la lotta popolare di liberazione, in Istria, per avere successo doveva essere diretta per forza di cose da un unico centro: il P.C.C.” .

Il partito era riuscito a creare in tutta l’Istria un enorme rete di organismi e di attività del MPL (Movimento liberazione popolare) imponendo una decisa e chiara linea di rotta.

Pertanto era naturale che fosse questo partito a condurre ed organizzare la Resistenza. In questo contesto il compito dei comunisti italiani, secondo Gigante, doveva essere quello di includersi senza riserve nel P.C.C. e di impegnarsi, assieme a tutta la popolazione italiana, nella lotta contro il comune nemico.

Nel suo intervento Gigante pose particolarmente l’accento sulla necessità di non perdere di vista la componente sociale e classista della lotta popolare di liberazione, il che voleva dire che i comunisti, guidando il popolo nella lotta di liberazione nazionale contro l’occupatore, dovevano creare le basi  della nuova società socialista.

“Noi siamo comunisti – disse a un certo punto del suo discorso – non possiamo parlare in questo momento di divisioni territoriali, ma solo di lotta armata per la sconfitta del nazifascismo”.

Con questo  Gigante aveva condannato la decisione del settembre 1943 quando il comitato, esclusivamente croato, aveva proclamato l’annessione dell’Istria alla Jugoslavia.

La ragione era semplice: o noi, o loro! I fascisti erano e rimangono i nostri nemici più pericolosi, responsabili di questa tremenda guerra e di tante stragi”.

Per Gigante vale il concetto espresso successivamente da Umberto Eco: “Fascismo, male assoluto”.

A conclusione del convegno istriano a Brgudac il 10 dicembre 1943 e la prima Conferenza istriana che ebbe luogo a Pinguente il 25 dicembre “Una delle più importanti conclusioni è che venne riconosciuto ai rappresentanti italiani, su esplicita richiesta di Gigante, il diritto di assumere, in seno alle organizzazioni del P.C.C. una posizione autonoma nella scelta dei quadri e, sopratutto, nel controllo delle unità partigiane italiane che dovevano sorgere nell’ambito dell’Esercito Popolare di Liberazione jugoslavo (E.P.L.J.). In quell’occasione venne ribadito il principio che la “questione dei confini” sarebbe stato affrontata e risolta a guerra finita”. (M. Mikolic)   

Gigante fu il fondatore e il direttore responsabile del primo giornale comunista istriano “Il nostro giornale”

La sua capacità organizzativa coinvolse i componenti italiani delle organizzazioni comuniste ed antifasciste presenti nelle città istriane, a prevalenza istro-veneta. 

CESSIONE DELL’ISTRIA

Nell’ottobre 1943 il fascismo cedette definitivamente al Terzo Reich l’Istria e il Nord-Est.

La R.S.I. era sorta contro l’invasione dell’Italia da parte degli Alleati e per mantenere  “L’unita, l’indipendenza e l’integrità della Patria nei termini marittimi e alpini segnati dalla natura da sacrificio del sangue e dalla storia.”

In altri termini il fascismo fu il primo responsabile non soltanto delle rovine, e dei lutti, ma anche dello smembramento della nazione.

Altro responsabile fu l’establishment monarchico e massonico italiano.

iI “governo del sud”  dopo aver abbandonato, in occasione del “armistizio” centinaia di migliaia di soldati italiani nei Balkani, in Grecia e in Russia, non osò porre agli alleati la questione giuliana e pretendere l’unità del Regno.

Petacco, storico monarchico, racconta come dopo il fallimento del tentativo da parte della Decima Mas del sud  per organizzare, in Istria, contro i partigiani di Tito, il governo del sud rivelasse la sua impotenza e si dimostrasse “ Rassegnato o favorevole alla cessione alla Jugoslavia dell’intera regione (compresa Gorizia e Trieste).

IL TRADIMENTO DI DE GASPERI

Il destino dell’Istria fu deciso nel gennaio 1946, alla Conferenza di Pace, a Parigi, quando il problema della definizione del confine orientale italiano diventò centrale.

Stabilire una linea etnica tra l’italia e  la Jugoslavia parve insormontabile. Racconta Petacco “Il primo a suggerire il plebiscito in Istria era stato il segretario di Stato americanio James Byrnes.

La sua proposta aveva subito incontrato l’approvazione dei sovietici, ma non quella della delegazione italiana.

I rappresentanti italiani presenti alle riunioni, sotto la guida del capo del governo Alcide De Gasperi, manifestarono in fatti opinioni discordi.

Favorevoli  al plebiscito gli esponenti del comitato giuliano, nonché i vescovi di Pola e di Parenzo, i quali benchè consapevoli dell’esistenza di una maggioranza slava, erano certi che moltissimi slavi, non comunisti, per reazione al terrore instaurato dal regime di Tito, avrebbero votato a favore dell’Italia.

De Gasperi decise di respingere il referendum contro la maggioranza degli esperti e degli storici convinti che l’esito avrebbe favorito l’Italia”.

La decisione degasperiana è stata criticata e variamente commentata.

Paola Romano sottolinea che “In quel momento la principale preoccupazione del trentino onorevole Alcide De Gasperi fosse rappresentata dalla possibilità che l’accettazione di un plebiscito nella Venezia-Giulia ne avrebbe comportato un altro nel Trentino Alto Adige il cui risultato sarebbe certamente stato sfavorevole all’Italia”

Pierantonio Quarantotti Gambini patriota istro-veneto osserva “In quegli anni i nostri fratelli della Venezia Giulia si sentivano usati come moneta non solo dagli Alleati ma anche dal governo di Roma”.

Petacco “Non si può d’altronde negare che, da parte dei nostri rappresentanti, alla Conferenza della Pace, furono compiuti più sforzi per salvare la flotta o per conservare le colonie prefasciste di Libia, Eritrea e Somalia , che non per salvaguardare i confini orientali della nazione”.      

I fuoriusciti e Gaetano Salvemini rivolsero un appello a favore del referendum dopo la firma dell’accordo De Gasperi-Gruber che salvava la frontiera del Brennero.

Il capo del governo si manifestò “irremovibile” nel rifiuto. (Cattaruzza)

Prevalse l’interesse di mantenere il possesso delle centrali idro-elettriche del Trentino e dell’Alto Adige fondamentali per l’apporto energetico alle industrie del Nord.

I “quattro sassi” rappresentati dall’Istria potevano essere semplicemente ceduti senza rimpianto.

I RIMASTI

La comunità istro-veneta fu abbandonata.

Come precisa la Ballinger “Le associazioni degli esuli e l’establishment italiano hanno negato “l’autoctonia” e “l’autenticità” dei rimasti, per più di mezzo secolo.

A.N.P.I.   IL PRESIDIO ANTI-FASCISTA

L’A.N.P.I. costituì, a guerra conclusa, lo strumento operativo della Resistenza mantenendo un impegno antifascista costante. 

Marino Micich, figlio di esuli fiumani accusa l’A.N.P.I. “Di aver criminalizzato l’esodo istriano per la sua protesta nei confronti dell’ONU responsabile del riconoscimento incondizionato dello “status” di profugo,  equiparando gli esuli giuliani ai “collaborazionisti” dell’Est europeo”.   

 L.A.N.P.I. non aveva condannato il popolo giuliano in fuga, ma gli elementi che avevano un conto da regolare e al quale volevano sottrarsi.

Del resto era stato il ministro italiano dell’interno, Mario Scelba, a disporre che a tutti i profughi giuliani, che chiedevano il rinnovo della carta d’identità, venissero prese le impronte digitali.

Micich sorvola su quanto stesse succedendo in Italia, nell’immediato  dopo guerra.

In realtà l’A.N.P.I. aveva segnalato all’ONU la pericolosità rappresentata dai nazifascisti, non soltanto in fuga, ma organizzati per scatenare nell’Europa post-bellica, in preda al caos, una contro-rivoluzione neofascista .

Nella seconda metà del 1945, a guerra conclusa, gli jugoslavi presenti a decine di migliaia, ustascia croati, cetnici serbi e belogardisti sloveni si erano costituiti in un movimento denominato “Krizari” (crociati) sostenuti dal Vaticano e dalla componente clerico- fascista italiana.

Tutto questo senza dimenticare “l’Armata polacca” composta da oltre centocinquantamila uomini, la maggior parte costituita da migliaia di prigionieri ucraini già collaborazionisti nazisti tra i più efferati criminali di guerra, che avevano sostituito i primi combattenti polacchi anti-nazisti decimati a Montecassino nel 1944 e sulla “linea gotica”.

Questi mercenari, a partire dal 1945, si erano dedicati all’assalto delle sedi dei partiti di sinistra e delle Camere del lavoro.

Non va  dimenticato che nella massa dei profughi giuliani si erano mimetizzati i repubblichini della Decima Mas autori di stragi e distruzioni durante il conflitto e i 2.500 paramilitari del “Corpo volontari della libertà” impegnati in Istria in azioni terroriste, dalla seconda metà del 1945 all’agosto 1946.

Gli esuli giuliani, quelli che il Partito Comunista Italiano e l’ “Unità” avevano definito “in buona fede” si erano trovati purtroppo, mescolati e confusi con una enormità di elementi criminali che andavano individuati e puniti.

Il governo di De Gasperi, di un’ “Italia fascista senza Mussolini”, come definito da Indro Montanelli, non li epurerà, ma gli inserirà come dirigenti ai massimi livello dello Stato Italiano.

La loro influenza sarà evidente nelle “vicende oscure” italiane del dopoguerra.

Category: A.N.PI., GIGANTE, Istria, Neofascismo, P.C.I., Remo Calcich

- 13 Gennaio 2022