A.N.P.I. LOMBARDIA

8 febbraio 2020

VARESE – CONFERENZA A.N.P.I.

L.A.N.P.I. provinciale di Varese si pone sul territorio non soltanto come barriera antifascista, ma come catalizzatore delle forze democratiche, un C.L.N. adeguato all’emergenza attuale.

La conferenza di Varese dell’8 febbraio 2020 si è svolta alla vigilia della sfilata del corteo d’ispirazione nazi-fascista del 10 febbraio, nella sede della Cooperativa di Biumo e Belforte.

In una sala “gremitissima” come riportato dal quotidiano della “Prealpina” Ester de Tomasi, presidente dell’A.N.P.I. provinciale contro il delirio fascista che aveva scritto su uno striscione posto all’esterno, “La sinistra odia gli italiani”  e in altre occasioni aveva definito l’A.N.P.I., antipatriottica,  ha replicato che l’associazione agisce in nome di quei partigiani che per “amor di patria” dove patria sta per “la terra dei padri”, hanno sacrificato la vita e ha aggiunto che l’A.N.P.I. ama tutti i popoli indistintamente.  

Tutto questo non impedisce di lottare contro i “nazionalismi” e i “sovranismi” per un Europa dei popoli come aveva profetizzato, durante il secondo conflitto mondiale, Altiero Spinelli.

A seguito Remo Calcich ha presentato la sua opera “Nazionalismi ed esodi istriani”.

Nell’esposizione delle vicende del secondo conflitto mondiale ha ricordato come la  repubblica sociale di Salò, di cui i neofascisti si considerano eredi, avesse ceduto, nell’ottobre 1943, a Hitler la Venezia-Giulia e l’Istria, con la costituzione dell’ Adriatisches Kustenland.

Gli organi di informazione di Varese non hanno mancato di sottolineare nel loro commento l’”eccezionalità” dell’evento.

La “Prealpina” quotidiano del territorio (Sabrina Narezzi), definisce l’opera dell’autore: “Un libro pieno di passione e ricco di date e riferimenti rigorosamente documentati sulla storia delle popolazioni balcaniche e sulla nascita dei nazionalismi, delle politiche antislave del fascismo e degli esodi alla fine della seconda guerra mondiale”.

In sintonia “Varese News” segnala lo spirito europeo che pervade l’opera : “L’autore spiega come i nazionalismi abbiano impedito di realizzare un progetto unitario europeo e come il nazionalismo italiano e l’irredentismo abbiano provocato, per 40 anni, a partire dalla fine delle prima guerra mondiale una serie di esodi istriani.  Nel 1947 la città di Pola è stata svuotata dei suoi abitanti per lo più immigrati italiani. La strada dell’esodo ha coinvolto istriani e triestini fino alla fine degli anni ’50”.

L’A.N.P.I. provinciale di Varese per la presentazione del libro ha mobilitato tre intellettuali dotati di uno spessore culturale raro e prezioso come Roberto Ghiringhelli, docente di Storia Moderna dell’Università Cattolica di Milano, Fabio Minazzi, titolare della cattedra di Filosofia Teoretica nell’Università dell’Insubria e Cosimo Cerardi, laureato in lettere e filosofia, insegnante di diritto ed economia.

“Bella ciao” simbolo della libertà, esplosa spontanea  e carica di passione, ha concluso la conferenza.


2019 

 Le conferenze con le quali è stato presentato “Requiem per il popolo istriano” di Remo Calcich che si sono svolte in Lombardia hanno coinvolto le A.N.P.I. di Varese, Verano Brianza, Besana Brianza, Carate Brianza, Monza e Cremona.

Locandine sono state collocate negli istituti scolastici, biblioteche, luoghi di incontri comunitari antifascisti e la stampa locale ha informato l’opinione pubblica.

Tutto questo ha richiamato diversi Esuli che mi hanno dimostrato gratitudine per aver dato voce e “memoria storica” al dramma istriano.

A Verano Brianza un Esule, mia coetanea ricordando l’episodio riportato in “Italiano con la coda” quando descrivo il mio imbarco col Toscana per l’Esilio “I giovani polesani portavano con loro come viatico dell’Esodo una piccola cassetta con un frammento di pietra dell’Arena e una bottiglietta con l’acqua del mare polesano. Partire voleva dire perdere il passato” mi ha affidato un documento dello stesso valore simbolico: “l’atto di opzione” della sua famiglia del 10-4-1948.

Un obbligo previsto dall’art. 19 del trattato di Parigi del 1946 con il quale si sceglieva l’esodo e si affrontava l’ignoto.

Atto d’Opzione:

 


18 maggio 2018

MANTOVA – CONFERENZA  A.N.P.I. 

Dopo le conferenze di febbraio 2018 nelle sedi A.N.P.I. di Varese, Verano, Monza e Cremona il 18 maggio 2018  all’ARCI Salardi,  l’A.N.P.I. Mantova ha predisposto un incontro con l’autore di “Requiem”; un intreccio di micro e macro storia riferito alle vicende che hanno sconvolto in quest’ultimo secolo dell’Italia nord-orientale e dell’esodo istriano utilizzate in chiave anti-comunista da parte del centro-destra .

A presentare l’autore il professor Luigi Benevelli, presidente dell’A.N.P.I. Mantova e vice-presidente del prestigioso Istituto di Storia Moderna e il dr Emanuele Bellintani dell’A.N.P.I.,  esponente di “eQual” (https://equalmn.wordpress.com) un movimento che recupera la vocazione originaria della sinistra, la partecipazione al processo di riscatto delle classi subalterne.

Questo contributo e l’opposizione militante antifascista rigenererà  l’A.N.P.I. : presidio storico di un Italia democratica.

Il prof. Benevelli ha segnalato come la storiografia italiana moderata nei suoi tentativi di accantonare i valori resistenziali abbia rimosso la memoria della partecipazione alla guerra di resistenza e al suo comportamento epico accanto ai partigiani di Tito, della divisione Garibaldi.

Ha invitato l’autore conoscitore delle vicende storiche balcaniche e degli aspetti giuridici della istituzione del “Giorno del ricordo” del 10 febbraio a spiegare tali atteggiamenti demagogici.

I 16 mila soldati e ufficiali dell’esercito italiano sorpresi l’8 settembre 1943 dalla dichiarazione dell’armistizio da parte del governo Badoglio, in Montenegro, dopo aver rischiato la totale eliminazione da parte dei nazisti decisero di unirsi ai partigiani di Tito nella comune lotta antinazista.

Dalla documentazione jugoslava si evince che si resero protagonisti di azioni collettive ed individuali, semplicemente eroiche.

L’autore ampiamente documentato sulla realtà della resistenza jugoslava ha ricordato due momenti di questi comportamenti epici: la rottura dell’agosto 1944 dell’assedio tedesco del Monte Durmitor: un area selvaggia ed estesa come l’intero Molise e la copertura delle operazioni  di salvataggio di migliaia di feriti partigiani.

Un terzo dei componenti della divisione alla fine della guerra risultò caduto o disperso  .

La divisione Garibaldi rientrò in Italia l’8 marzo 1945.

Per l’Italia intenzionata a ridimensionare l’apporto partigiano nella liberazione l’epopea della divisione Garibaldi andava oscurata.

Il governo Berlusconi nell’operazione di “sdoganamento” del neo-fascismo ha promulgato la legge che istituisce il “Giorno del Ricordo” del 10 febbraio.

Il provvedimento ha reso i collaborazionisti inseriti nell’amministrazione nazi-fascista dell’Adriatische Kustenland vittime e “martiri delle foibe”.

I caduti della divisione Garibaldi considerati degli “ascari” al servizio delle bande partigiane titine furono esclusi dal ricordo .

La sinistra in nome della “riappacificazione” ha reso possibile questa infamia.

Bellintani ha proposto all’autore di rendere nota la specificità del popolo istriano, dotato di una molteplicità culturale unica  e vittima delle guerre civili europee del secolo passato, in tal modo da  rischiare l’estinzione.

Il governo fascista dopo l’annessione del territorio istriano all’Italia puntò ad una “pulizia etnica” slava e all’assimilazione, determinando il primo esodo istro-slavo.

Dopo il secondo conflitto bellico furono gli istro-veneti ad abbandonare in massa il territorio.

I campi profughi e l’emigrazione forzata li privarono dell’identità.

Il loro dramma continua ad essere manipolato dalla destra revanscista italiana.

E tutto questo per un esule istriano anti-fascista, come l’autore di “Requiem”, è inammissibile.


6 febbraio 2018

VARESE- Collegio De Filippi, sala Borghi.

Introduzione della Presidentesse A.N.P.I. Ester Maria De Tomasi.

Nella sala Borghi è stato presentato il saggio storico “Requiem per il popolo istriano” di Remo Calcich.

La Presidente nel dar inizio alla conferenza e al dibattito ha posto in evidenza l’esigenza di configurare l’incontro come un momento dai contenuti etici e civili.

In altri termini si impone il richiamo ai valori della Resistenza, ai martiri, alle loro famiglie e al territorio sconvolto dalla violenza nazi-fascista.

Si è sottolineato come le minacciose parate neofasciste non siano semplici rappresentazioni folkloristiche, ma che costituiscono il preludio del ritorno di un epoca buia iniziata con le intimidazioni e successivamente trasformata in violenza e soprafazione.

Queste masnade nere ergendosi a “vendicatrici delle Foibe” non vogliono accettare la verità storica che “la tragedia delle Foibe è figlia del fascismo” come dall’articolo della giornalista: Elisabbetta Castellini della “Prealpina”.

Nell’articolo informa i suoi lettori sull’emergenza civile e su la necessità di impedire le strumentalizzazioni ideologiche di un passato, quello del secondo conflitto mondiale tragico e tale da coinvolgere milioni di innocenti.

L’A.N.P.I. per coordinare l’incontro ha mobilitato due giovani intellettuali provenienti dalla società civile e che, in occasione dell’incontro hanno dimostrato una capacità insolita nel cogliere la sostanza di una vicenda storica complessa coinvolgendo opportunamente l’autore di “Requiem”.

Il professor Cedardi Cosimo esperto di diritto ed economia, brindisino appartenente alla famiglia politica di Ugo Gigante, membro della dirigenza del Partito Comunista Italiano , dirigente sindacale pari a Di Vittorio, dopo una vita di detenuto politico antifascista fu stroncato dopo mesi di torture alla fine del 1944 nel carcere di Trieste.

Nel breve periodo trascorso nella Resistenza istriana, come riportato in “Requiem” era riuscito perché dotato di un “carisma internazionalista” a valorizzare l’apporto nell’ambito della Resistenza istriana in un momento in cui il rapporto di forza con quello istro-slava era nettamente a suo sfavore.

Il professor Cedardi ha indicato al pubblico come in “Requiem” venga descritto dettagliatamente lo strazio di una Puglia occupata dagli alleati e l’illusione di un dopoguerra che avrebbe conferito per la prima volta, dopo l’Unità d’Italia, alle masse contadine dignità e che per colpa di un Italia post fascista si era rivelata inconsistente.

Nonostante le condizioni subumane in cui la Puglia era piombata, il popolo aveva accolto centinaia di migliaia di “naufraghi della pace” fra cui gli Esuli giuliani, con commovente solidarietà.

L’avv. Conte vicepresidente dell’A.N.P.I. ha evidenziato come nel saggio dell’autore, neofascismo e giornata del ricordo (consultabile nel sito www.remocalcich.it) seguito alla pubblicazione di “Requiem” si dibatta l’opportunità di mantenere la celebrazione della Giornata del ricordo.

In questo occasione si sono citati due intellettuali di fama europea: lo storico Franco Cardini e Moni Ovadia.

Lo storico considera la “Giornata del ricordo” come “l’occasione per equiparare Foibe a Shoah; l’adolescente con la valigia e la scritta “profugo” che raffigura l’Esodo richiama l’“Anna Frank dell’olocausto.

Moni Ovadia ritiene correttamente come Guido Miglia, esule da Pola che “la responsabilità prima e soverchia, è quella della guerra portata dai neofascisti in tutto l’Europa con punte di ferocia inaudite nelle terre slave.

Tutto questo per segnalare come la celebrazione della “Giornata del ricordo” debba essere ricondotta nella sua sostanza: monito alla violenza neofascista.

La strumentalizzazione è penetrata a tal punto da contaminare i media nazionali.

In occasione dell’ultima “Giornata del ricordo” 10 febbraio 2018 la Rai-educational che dovrebbe mantenere e muoversi sotto un profilo storico ha strumentalizzato, in chiave revanscista Fiobe, Esodo e , in prospettiva, come centenario la patriottica impresa di Fiume di Gabriele D’Annunzio ha presentato per l’ennesima volta l’infame filmato “la luna nel pozzo”.

Volantino dell’evento:

Articolo sul quotidiano locale:


7 febbraio 2018

VERANO

Le amministrazioni comunali di Verano Brianza , Besana Brianza, Carate Brianza hanno patrocinato la presentazione di “Requiem per il popolo istriano” di Remo Calcich nella biblioteca comunale di Verano, un luogo che negli ultimi anni ha ospitato personaggi riconosciuti a livello nazionale per essere un riferimento di valori civili, come Gherardo Colombo, Adelmo Cervi Egidia Beretta, Nando Dalla Chiesa ed altri.

L’incontro era organizzato dalla Biblioteca Comunale insieme alle sezione ANPI di Besana Brianza, Carate Brianza, Seregno e Verano Brianza.

Il sindaco di Verano. Massimiliano Chiolo ha esordito ricordando le emozioni riportate durante il suo soggiorno giovanile, negli anni ottanta, in Istria.

In quell’occasione si era reso conto della complessità della questione giuliana e delle lacerazioni subite dal popolo istriano.

Antonio Chiodo, presidente dell’A.N.P.I. Verano ha affrontato il nodo centrale dell’opera di “Requiem”: il dissolvimento del popolo istriano, vittima della follia nazifascista e dell’accusa della storiografia del centro-destra rivolta al partito comunista italiano e all’A.N.P.I. indicandoli comecolpevoli di aver svenduto dopo la seconda guerra mondiale, le terre giuliane.

Remo Calcich in “Requiem” sulla base di una documentazione inconfutabile ha dimostrato la manipolazione delle vicende giuliane e la piena responsabilità del fascismo nelle cessione dell’Istria alla Jugoslavia.

Dopo il disfacimento dello stato italiano con l’armistizio dell’8 settembre 1943, il regime nazista il 15 ottobre usando la stessa denominazione dell’impero austro-ungarico creò nel nord est l’Adriatische Kustenland eliminando “de jure” e “de facto” la sovranità italiana.

Tutto questo in attesa di incorporare, a guerra conclusa Venezia e il Veneto.

Il distacco di Udine . Trieste, Gorizia, Pola , Fiume e Zara dalla Repubblica Sociale di Salò fu completa.

Nonostante fosse ancora in vigore l’alleanza tra Mussolini e Hitler i territori considerati furono totalmente affidati alla burocrazia austriaca.

Il controllo fu totale e gli italiani di fronte a questo fatto compiuto rimpiansero la semi autonomia ottenuta un secolo prima tra il 1850 e il 1859 dal Lombardo-Veneto, da Radesky.

Ogni segno esteriore della presenza italiana fu cancellato.

I cittadini della Repubblica Sociale per soggiornare nei territori giuliani furono costretti a munirsi di passaporto rilasciato dalla RSI

Mussolini liberato dal Gran Sasso il 12 settembre 1943, nonostante che la legge costitutiva della Repubblica Sociale prevedesse come punto d’onore la difesa dell’integrità nazionale, accettò la perdita dei territori.

Tre anni dopo nel 1946, la Conferenza di pace di Parigi certificherà e ribadirà la cessione di parte dell’Adriatische Kustenland alla Jugoslavia.

Per settant’anni gli eredi fascisti di un regime criminale e fellone negheranno questa verità storica sostenuti da una storiografia complice nella mistificazione.

Volantino dell’evento:

Articolo sul quotidiano locale:


8 febbraio 2018

MONZA 

La conferenza si è svolta al centro civico di Monza alle ore 21.00; a presentare l’autore la Signora Rosella Stucchi, presidente dall’A.N.P.I. di Monza che non ha mancato di segnalare , in un quadro antifascista il valore etico, civile di “Requiem”.

Il comunicato dell’A.N.P.I. e dell’A.N.E.D. preliminare alla conferenza dell’8 febbraio 2018 aveva segnalato nel sito dell’A.N.P.I. come “Requiem per il popolo istriano” di Remo Calcich “Punti il dito contro il revisionismo di molti storici del centrodestra”.

L’autore riprendendo questo filo conduttore ha svolto la conferenza sostenendo che per una corretta interpretazione storica dell’Esodo e delle Foibe si debba partire dalla repressione fascista e dalla italianizzazione forzata dei territori giuliani.

Durante la terza guerra di indipendenza, nel 1866, l’establishment irredentista giuliano si era appellato ai vertici dinastici e militari del neo Regno d’Italia per essere “redenti” dall’Austria.

Questi personaggi avevano esorcizzato i problemi derivanti dall’assimilazione delle popolazioni slave presenti sul territorio da un millennio considerandole marginali e prive di coscienza nazionale.

Il regime fascista negli anni venti del secolo passato ebbe molto chiaro come procedere nei confronti delle popolazioni slave presenti nei territori acquisiti.

Mussolini esplicitamente dichiarò “Quando l’etnia non va d’accordo con la geografia è l’etnia che deve muoversi”.

Si eliminarono le classi dirigenti licenziando il personale didattico operante sul territorio durante il periodo austro-ungarico .

Parte del clero slavo fu costretto ad abbandonare le sue parrocchie.

Secondo la storiografia jugoslava l’esodo fu superiore alle centomila unità.

La chiesa parrocchiale di Antignana prima ancora della marcia su Roma, il 31 marzo 1921, fu devastata da gruppi di fascisti che si sentivano eredi dei patrioti irredentisti del 1866.

L’incendio della “Narodni Dom” (la casa del popolo sloveno), a Trieste, il 13 luglio 1920, simbolo della cultura slava e per questo odiato dai nazionalisti triestini perché in grado contaminare l’immagine italiana della città, diede inizio alla violenza fascista.

Per esprimere la sua determinazione nelle espulsioni il governo fascista con la circolare dell’ottobre 1927 stabilì provvedimenti straordinari per costringere gli “allogeni” termine dispregiativo, ad emigrare.

Il venir meno con l’esodo slavo di una parte importante consistente diede inizio al primo “sgretolamento” del popolo istriano.

L’espulsione massiccia diede luogo alla costituzione creò negli anni trenta, a ridosso del confine italiano, una rete associativa irredentista collegata al clero slavo ancora presente nella penisola istriana.

Sarà così che Il T.I.G.R. (Trst Istra Gorica Rijeka- Trieste-Istria, Gorizia e Fiume movimento irredentista slavo) avvierà la resistenza contro il fascismo istriano.

L’invasione della Jugoslavia da parte del governo fascista, nel 1941 , completerà il tentativo di pulizia etnica nei confronti degli slavi con l’internamento di decine di migliaia di civili.

Queste vicende storiche e la ferocia dimostrata nel periodo successivo, dall’ottobre del 1943 alla fine dell’aprile 1945 dall’elemento militare nazifascista e paramilitare come la Decima Mas, saranno le basi per il “dramma delle foibe”.

Il comitato provinciale A.N.P.I. di Monza ha proceduto alla promozione e allo sviluppo nelle scuole di progetti didattici che rispettino la verità storica della seconda guerra mondiale.

La lettera aperta al M.I.U.R (Ministero della pubblica istruzione-università-ricerca), sottoscritta da un folto gruppo di intellettuali, tra cui Clara Nespolo presidente dell’A.N.P.I. nazionale, precedente alla conferenza, ha fornito a Remo Calcich l’occasione per segnalare la devastante penetrazione ideologica da parte delle associazioni degli esuli, nelle scuole.

La “Giornata del Ricordo” in questi ultimi anni ha fornito loro l’opportunità di diffondere nella struttura scolastica italiana il contenuto tossico delle “Foibe”.

Se al momento ci ritroviamo le falangi le squadre neofasciste ciò è dovuto dall’attività ossessiva di attivisti-galoppini legati alle associazioni degli esuli che si sovrappongono nella comunicazione storica ai docenti istituzionali.

Gli allievi sono obbligati a subire in orario scolastico, per la durata di due ore un “lavaggio del cervello” che li renderà disponibili a militare nei movimenti neofascisti.

L’autore di Requiem , in occasione della conferenza ha informato l’uditorio che in Milano e provincia sono state organizzate dalle associazioni degli esuli 41 iniziative, all’interno degli istituti scolastici tra conferenze e interventi dal 3 febbraio al 10 maggio 2018 e, in appoggio, otto mostre intitolate“Conoscere per ricordare le foibe” dal 29 gennaio al 18 febbraio e due rappresentazioni teatrali “In fondo a quella fossa (foiba)” .

Volantino dell’evento:


9 febbraio 2018

CREMONA 

La conferenza durante la quale è stata presentata “Requiem per il popolo istriano” di Remo Calcich all’interno della “Giornata del Ricordo” si è svolta nel medievale palazzo comunale di Cremona .

L’autore di Requiem è stato presentato dalla prof. Marida Brignani coordinatrice dell’Istituto Mantovano di Storia Contemporanea, ricercatrice storica e dal prof. Gian Carlo Corada espressione di un ceto politico di notevole spessore culturale impegnato da sempre ad affermare i valori resistenziali ed attualmente presidente dell’A.N.P.I. provinciale di Cremona.

Il prof. Corada ha invitato l’autore a definire i rapporti esistenti in Istria nel ‘900 tra la comunità istro-veneta e quella istro-croata.

Per cogliere la complessità delle vicende istriane ben delineate in “Requiem”, l’autore ha spiegato in quel periodo in Istria come la cultura veneziana  (istroveneta) dominasse nelle cittadine costiere; nelle campagne quella slava.

Nel caso istriano non possiamo parlare di etnie o, meglio, di nazioni differenti.

La scelta di appartenere a una delle due culture si realizzava su base volontaristica e non etnica.

“L’Italianità “adriatica è quindi categoricamente avulsa dal fondamento etnico.

Nei centri urbani il processo di assimilazione dell’elemento  slavo si è svolto senza traumi nello spazio di secoli.

I coloni provenienti dalla Carnia e dalle Marche, in altri termini dall’Italia , ruralizzandosi , hanno completato il percorso inverso assimilando la cultura slava.

Fra l’altro “l’italianità” acquisita non venne mai considerata secondaria e non derivava da scelte opportuniste.

Lo dimostra la vocazione irredentista di Oberdan, Slataper e Stuparich non certo di provenienza italica.

Il fascismo nella sua violenza iconoclasta tesa a cancellare qualsiasi traccia di “slavità” nel territorio giuliano fu il risultato di convinzioni radicate nella cultura italiana di frontiera.

Gli intellettuali come Francesco Ferrari, eredi dei notabili dell’appello irredentista del 1866 ritenevano che le masse slave ripulite dai “sobillatori” in altri termini la classe dirigente slava, sarebbero state assimilate e felici di essere riscattate da una cultura barbara.

I coloni slavi abituati ad obbedire ad un padrone che prima si chiamava Austria non avrebbero avuto difficoltà a servire l’Italia.

Ironia della storia.

Nello spazio di una generazione, a conclusione del secondo conflitto mondiale, saranno gli jugoslavi a stabilire in Istria la subalternità della cultura italiana.

Tale processo avverrà non soltanto imponendo una lingua, quella slava, complessa e dai suoni impronunciabili, ma anche consuetudini gastronomiche e l’immaginario balcanico.

Un semplice ballo folkloristico , il kolo, ha determinato sulla psiche istro-veneta contracolpi devastanti.

Il kolo è una danza dove tenendosi con le mani incrociate e ballando in tondo i corpi che vibrano al ritmo delle fisarmoniche vengono attraversati da una sensualità piena, illimitata e felice.

Al suo apparire a Pola provocò  lo sgomento nei polesani ossessionati  da questo ritmo e dal serpentone che si snodava per tutto il centro città per centinaia di metri bloccando qualsiasi tipo di attività.

Veniva avvertito come una precisa volontà di dominio culturale.

Il prof. Corada ha invitato l’autore a spiegare l’atteggiamento contraddittorio  dei governi italiani post-fascisti nei confronti del nord-est, negli ultimi settantanni.

L’establishment italiano  ha sostenuto, da una parte, un irredentismo dai contorni revanscisti e, dall’altra, ha considerato la questione nord-orientale , marginale, da dimenticare.

Lo storico Arrigo Petacco  scrive in “Esodo” che il Regno del sud  nell’imminenza della conclusione della seconda guerra mondiale si era rivelato “rassegnato o favorevole alla cessione alla Jugoslavia dell’intera regione”.

A conflitto concluso, nell’imminenza delle decisioni della Conferenza di pace di Parigi, in base al principio dell’autodeterminazione dei popoli, il segretario di stato, James Byrnes si dimostrò favorevole a sottoporre a referendum (plebiscito) il popolo istriano per assegnare il territorio all’Italia o alla Jugoslavia.

“Requiem” dimostra  citando le tesi di storici autorevoli che il referendum avrebbe favorito l’Italia. Il governo De Gasperi lo respinse perché “Insistere sul plebiscito significava far opera contraria agli interessi nazionali .

Una volta giunti in Italia gli autoctoni giuliani, privi di riferimenti concreti  nella penisola furono considerati elementi estranei alla comunità nazionale.

Come nota la Ballinger “Gli esuli che spesso si erano lasciati alle spalle condizioni di vita intollerabili per la promessa di un assistenza nell’entroterra italiano, venivano ridotti a questo stato animalesco, ammucchiati come bestie in ex campi di concentramento e in prigioni” per un totale di 109 unità, tra cui quelli famigerati di Trieste, Tortona, La Spezia, Laterina, Altamura e Fertilia.

Nel 1949 il governo italiano dopo aver constatato che “Lo sforzo richiesto nell’accoglimento di decine di migliaia di Esuli (non milioni) non era autonomamente sostenibile da parte italiana”, come ampiamente documentato in “Requiem”, espulse dall’Italia o rinchiuse fino alla metà degli anni sessanta sotto tutela dell’I.R.O. (International Refugee Organisation) in campi gestiti dal Vaticano decine di migliaia di Esuli.

L’autore ha concluso, sulla base dell’analisi storica e antropologica presente in “Requiem” che se non verranno adottate misure di emergenza la lingua istro-veneta e l’eredità romanza, veneziana (italiana) svaniranno.

Soltanto le decisioni assunte dal governo italiano e dalla regione Friuli-Venezia-Giulia potrebbero interrompere questo processo degenerativo iniziato con il fascismo, proseguito con il regime jugoslavo e completato dall’attuale una gestione locale, oligarchica .

La comunità è stata sottoposta a partire dal 1991, all’arbitrio di un direttorio che ha fatto del “italianità” il proprio “etno-business” e che blocca sia il ricambio generazionale che il rinnovamento culturale della comunità.

Il governo italiano e la regione Friuli-Venezia-Giulia forniscono attraverso la U.P.T. (università popolare di Trieste) con rif. alla legge nazionale n.960/1992 e regionale n 19/1991 e regionale n. 79/1978 e n. 16/2015 risorse finanziarie consistenti.

Le istituzioni italiane hanno il dovere morale e politico di preservare e sviluppare ,  in un destino europeo  l’ ”istrianità” : un ponte tra l’Italia e i balcani e la mitteleuropa.

Tale esigenza viene espressa da personalità della società civile e dalla cultura istro-venete .

Un banco di prova saranno le imminenti elezioni di maggio 2018 per il rinnovo in Istria delle amministrazioni.

Il parlamento italiano dovrebbe approvare – una legge di interesse permanente –  tale da conferire una maggiore soggettività ed autonomia dell’Unione italiana e, congiuntamente, la massima trasparenza dei suoi organi.

Con una “soft power” anche attraverso i canali diplomatici dovrebbe procedere alla promozione in ogni organismo della regione, la partecipazione democratica alle minoranze espresse nelle consultazioni elettorali.

Finora il sistema oligarchico politico istriano pur ottenendo, nell’arco di quasi trentanni ,  risicate maggioranze ha cancellato le minoranza  esercitando un potere assoluto senza alcun reale controllo.

Volantino dell’evento:

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